WG 3.3 Torno subito… – Parte Terza
15 marzo 2010
writegame
Giungete nel luogo deciso. Tu scopri un oggetto appartenente alla ragazza che ti rende nervoso e dubbioso.
Termine invio commento – entro e non oltre il 19/03/10
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Buona scrittura.
Categorie:Torno subito, WriteGame
Tag:Torno subito, WriteGame
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Il racconto breve
In Occidente la tradizione del racconto breve è molto antica, e va fatta risalire alle antiche forme orali e ai generi medievali come l’exemplum, il fabliau e il lai. Ma il genere acquista la sua autonomia, in forma di “novella”, a partire dalla raccolta anonima de Il Novellino (1281-1300), e si afferma soprattutto con il Decameron (1350-1353) di Giovanni Boccaccio (1313-1375), che ne fissa il canone fino al Rinascimento. Con il Decameron la novella si emancipa dai generi medievali: ne viene rivendicata la novità (come indica il nome stesso) e se ne attesta il carattere realistico. Elementi che rimarranno costanti nei continuatori del genere, come Geoffrey Chaucer (1343-1400 – Canterbury Tales, 1386-1387), Franco Sacchetti (1335-1400 – Il Trecentonovelle, 1399), Marguerite de Navarre (1492-1549 – Heptaméron, 1540-1549), Matteo Bandello (1480-1562 – Novelle, 1554), Miguel de Cervantes (1547-1616 – Novelas ejemplares, 1613). Boccaccio introduce anche la forma della narrazione a cornice (i singoli racconti sono inseriti in un racconto più ampio che li contiene e li giustifica), prendendo l’esempio dalla raccolta orientale Le Mille e una notte, ma trasformando la cornice in un legame concreto con le vicende contemporanee (la peste del 1348) e in uno strumento di coesione tematica e compositiva. Editorialmente parlando, si può dire che la cornice è oggi sostituita dalla raccolta in forma di libro, che presenta in modo unitario un certo numero di racconti.
Dopo la stagione d’oro della novella rinascimentale la narrazione breve gode di fortuna alterna e convive con altri generi. Dopo la scarsa fortuna nel periodo barocco, le narrazioni brevi, anche se non nella forma della novella canonica, tornano di moda nel Settecento (favole morali, apologhi, racconti filosofici, fiabe argute come quelle di Gaspare Gozzi) e ritrovano solo nell’Ottocento un pieno sviluppo. Particolarmente significativi sono i racconti di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822) che preludono alla ripresa romantica della novella e alla sua rinascita otto-novecentesca. Autori importanti, che hanno influenzato notevolmente gli scrittori successivi di racconti brevi, sono Edgar Allan Poe (1809-1849), Guy de Maupassant (1850-1893) e Anton Cechov (1860-1904). Tra Otto e Novecento, dopo la grande stagione del romanzo moderno (che in spagnolo e in inglese mutua il nome, proprio per il carattere realistico, dall’antica novella (novela, novel), il racconto torna in auge soprattutto in alcuni paesi (Stati Uniti d’America, Russia, America latina) e si afferma quasi universalmente con le pretese di un genere nuovo, caratterizzato da alcuni elementi (brevità, essenzialità, densità, unicità) codificati dallo stesso Poe, e assumendo spesso il nome di short story o, in italiano, di racconto breve (che tende a sostituire il termine novella).
In Italia, tra Otto e Novecento il racconto breve trova un terreno particolarmente favorevole. Autori di racconti brevi (anche se spesso chiamati novelle) sono tra gli altri Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Gabriele d’Annunzio, Tommaso Landolfi, Primo Levi, Alberto Moravia, Giorgio Bassani, Dino Buzzati, Italo Calvino, Antonio Tabucchi.
Fonte:Wikipedia
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Facemmo solamente due tappe, una sulla riviera ligure in un piccolo hotel a gestione familiare, l’altra in macchina visti i prezzi esorbitanti della costiera francese, notevole nel suo aspetto pittoresco, ma poco adatta all’unico mezzo di pagamento che avevamo dietro. Nonostante la calura opprimente ed il mio inestimabile sedere che aveva ormai assunto una forma geometrica e combaciava perfettamente con il sedile, il viaggio fu piacevole e divertente. Ogni tanto mi ritrovavo ad osservare di sottecchi la mia nuova compagna, la folta chioma castana incorniciava un volto ovale e roseo e gli occhi scuri e grandi con lunghe ciglia, le davano un tocco di innocenza.
Il terzo giorno arrivammo nella vivace e colorata Barcellona, meta ambita da molti turisti nel periodo estivo. Il cugino si chiamava Andrea e abitava nella zona del Parc Guell, in un appartamento molto grazioso in stile moderno. Si era trasferito dieci anni prima ed ora lavorava per una società di informatica. Un tipo allegro e gioviale, caratteristica forse della stirpe, fortunatamente mi salvò dal mio spagnolo impronunciabile e facemmo conoscenza in italiano. Mentre Claudia si congedò da noi con l’esigenza di una bella doccia, Andrea cominciò ad armeggiare con i fornelli nella preparazione del pranzo, io invece presi a gironzolare per casa incuriosito. Nel passare davanti alla stanza da letto notai la porta socchiusa, il borsone di Claudia era sul letto, accanto c’era appoggiato qualcosa di strano. Spinsi leggermente in avanti la porta ed entrai, simulando un passo felpato. La stanza era vuota, mi avvicinai al letto e rimasi alcuni istanti a fissare quella cosa. Allungai titubante la mano e la presi. Il mio cervello cominciò ad elaborare svariate informazioni, lavorava freneticamente con la fantasia. La folta parrucca castana che avevo in mano insinuò in me un dubbio, lasciandomi una strana sensazione dentro. Forse non era chi diceva di essere.
Arriviamo con la macchina in Piazza Martiri della Libertà e lì la parcheggiamo. Lei raccoglie la sua borsa, poi mi allunga qualche monetina e le chiavi della macchina.
«Tieni, vai a pagare il parchimetro.» mi dice allontanandosi «Vado a vedere quel negozio di profumi… quando hai fatto raggiungimi.»
«Ok» le rispondo andando al parchimetro, poi, una volta preso il biglietto, torno verso l’automobile.
Apro lo sportello e metto il ticket sul cruscotto, ma quando sto per uscire dall’auto urto per sbaglio il vano portaoggetti, che si apre. Getto un’occhiata all’interno: oltre al libretto dell’auto, c’è solo un piccolo bloc-notes blu.
“Luca…lascia stare…” mi dico poco convinto “anche se… tanto non se ne accorgerà!” penso infine afferrando il quadernetto. Apro il taccuino e lo sfoglio velocemente: le prime pagine sono tutte scritte.
“Ecco, ora hai visto, chiudi e metti via, prima che se ne accorga, potrebbe non esserne felice!” mi suggerisce il mio ego, ma non è abbastanza convincente, così inizio a leggere, curiosissimo:
“Le due e mezza, “Ci starebbe proprio un caffè.”
Esco di casa, capelli arruffati e maglietta sporca; chi se ne importa, visto il periodo, non è sicuramente un…”
«Cazzo!» esclamo stupefatto «Ma… ma… ma questo coso parla di me!»
Apro un’altra delle pagine a caso:
“«Cazzo! Saranno 10.000 euro!»
«12.550 per la precisione…”
Come se fosse bollente, d’istinto gettò via il libretto «Oh merda! Ma questa è la conversazione di prima!» poi rinsavisco e dopo averlo ripreso, lo rimetto a posto. «Che diamine è?»
Mi asciugo la fronte.
«Tutto bene?» dice una voce.
“E’ lei!”
«S-si, tutto bene!» dico mettendomi una mano in tasca «Mi era arrivato un sms!»
«Fa niente, ora andiamo!»
«Ok» le dico, e tutto tremante esco dall’auto.
«Ci aspetta una magnifica giornata!»
“Già… ci aspetta proprio una magnifica giornata”
-Lo hanno preso. Voleva lasciarti fuori da tutto questo per non farti soffrire ancora.
-Cosa devo fare?
-Il Codice. La chiave per decifrarlo è nella tua testa. Solo la soluzione esatta ci porterà da nostro padre.
Non avevo abilità particolari, a parte aver vinto qualche torneo di scacchi al liceo, come potevo decifrare un codice di cui non avevo mai sentito parlare?
-Erano arrivati anche a te.
-Che vuoi dire?
-La tua ragazza. Era una loro agente sotto copertura.
-Ma loro chi? Di cosa stai parlando?
-Doveva controllare che nostro padre non ti contattasse. Volevano usarti come esca per farlo uscire allo scoperto.
Atterrammo all’aeroporto di Heathrow. Salimmo sulla berlina scura e sfrecciammo verso il centro. Ci fermammo vicino St. James Park. Il Tamigi scorreva lento. L’edificio era in stile Vittoriano, avrei detto di fine ‘800. Entrammo in una stanza con un’immensa libreria e una scrivania in legno massiccio. Le sedie sembravano troni e il velluto delle tende era rosso vermiglio. Sulla scrivania, aperto circa a metà, un grosso e antico tomo con dei segni indecifrabili.
-Non è nessuna lingua conosciuta. Abbiamo provato con ogni tipo di cifrario, persino quelli militari. Questo è il Codice che ho ricevuto da tuo padre e che, grazie a te, dovrebbe portarci da lui. Non lo deludere.
Iniziai a sfogliarlo. C’era un foglio piegato a metà. Lo misi in tasca senza dare nell’occhio. Continuai a sfogliare. Niente. Camminai verso la finestra, avanti e indietro. Niente. Non capivo come avrei potuto decifrare quel codice. Iniziai a innervosirmi e a dubitare di farcela. Poi la campana suonò e nella mia mente continuava a rintoccare un pensiero insistente. La Torre posta all’angolo nord-est di Palazzo Westminster e il nome del suo famoso orologio mi fece pensare all’altrettanto famosa teoria dell’espansione dell’universo. Big Bang.
Valeva la pena provare.
Il mio furgone procede silenzioso verso sud: sono diretto sul Brooklyn Bridge. L’orologio digitale sul cruscotto mi informa che sono da poco passate le due di notte, ma ormai ho perso la nozione del tempo.
Ho pochi minuti a disposizione e non ho voglia di rimuginare sul perché mi trovo a migliaia di chilometri da casa, con un tizio legato come un salame nel bagagliaio.
Lascio la Broadway, costreggiando il City Hall Park e mi ritrovo su Frankfort Street, una piccola stradina alberata in fondo alla quale posso parcheggiare il furgone. Ora mi aspetta la parte più dura: trasportare l’uomo sul ponte per più di cinquecento metri, fino al punto stabilito, esattamente all’altezza del pilone ovest. Per fortuna l’adrenalina che la paura mi mette in circolo viene in mio aiuto. Non posso usare le buone maniere, quindi lo afferro per il collo e lo spingo verso la rampa di scale ripide e strette che dal terrapieno sottostante portano sulla parte pedonale del ponte.
Il poveretto è completamente succube e non cerca quasi più di sfuggirmi. Solo ora ne comprendo il motivo: puzza di alcol lontano un miglio e deve essere ubriaco fradicio. Meglio così, sarà tutto più facile, almeno spero.
Arrivati nel luogo stabilito non posso fare a meno di ammirare il panorama: lo skyline di New York è splendidamente illuminato dalla pallida luna, dall’altra parte dell’East River dorme pigramente Brooklyn e sotto di me, nel livello sottostante del ponte, il traffico sfreccia veloce.
Non si vede anima viva e comincio a chiedermi se non sia arrivato troppo tardi.
Un trillo venuto dal nulla mi fa sobbalzare: è la suoneria di un cellulare. Seguo il suono fino ad un cestino della spazzatura, accanto alla balaustra. Infilo la mano dentro e tiro fuori il cellulare della donna. Faccio un profondo sospiro e rispondo:
– Pronto?